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Una 4 Stagioni al tavolo 7, laggiù all’incrocio…

Prima abbiamo vissuto la fase dell’incredulità, poi dello sgomento. 

A seguire c’è stata quella della resistenza e della retorica. 

E siamo arrivati a oggi, dove deve per forza partire la fase che chiamerei “epurata”. 

È la fase concreta, il momento della messa a terra delle cose da fare.

Serve quindi buon senso, ragionevolezza e una volontà epurata da tutto quello che in questo momento non serve.

Questo ragionamento torna particolarmente utile se affrontiamo l’argomento della futura ripresa del settore della ristorazione.

Dice bene Rino Mini, imprenditore e manager, nonché ristoratore: “Se i ristoranti non avranno gli stessi coperti di prima, saltano in aria. Succederà per molti e si salverà solo chi ha le spalle ben coperte. Dobbiamo evitarlo a tutti i costi“. Poche parole, ma chiare. Mini sa bene che la ristorazione è un driver strategico territoriale. Il nostro territorio vanta un’offerta ampia, varia e ben diffusa. Per noi è un forte vantaggio: siamo destinazione anche per questo. Le saracinesche chiuse non fanno aumentare gli incassi a chi rimane: se l’offerta di un territorio perde i pezzi, l’appeal cala. 

Quindi in gioco c’è la sorte di lavoratori e imprenditori, ma anche l’immagine di tutta una serie di territori, come anche il nostro, vocati alla qualità della ristorazione, dove convivono sapientemente innovazione e richiami alle tradizioni.

Nel concreto, quello che c’è da fare è presto detto: le amministrazioni devono concedere ai ristoratori tutti gli spazi all’aperto disponibili per la realizzazione di dehors esterni, in modo che si possano ampliare gli spazi di somministrazione.

L’obiettivo? Compensare il necessario “taglio” dei tavoli utile a garantire le distanze di sicurezza tra i clienti che i nuovi provvedimenti comporteranno.

Il tutto da concretizzare con tempistiche veloci, meglio se velocissime, in modo che gli imprenditori abbiano modo di organizzarsi, per essere pronti il giorno stesso in cui la riapertura sarà possibile.

Quindi…

I Comuni prendano in mano la situazione, come in diverse occasioni hanno dimostrato di poter fare e mettano come priorità anche il fare sistema tra loro. 

La Sovrintendenza intervenga con modalità adeguate all’emergenza (per carità: nessun incitamento all’anarchia, ma una richiamo al buon senso).

Le categorie economiche facciano in modo che i tavoli operativi siano veloci e diretti, senza quindi vetrine e retoriche.

Gli imprenditori ragionino in ottica di sistema una volta per tutte.

E i cittadini? A tal proposito mi ricordo di quel macellaio riminese intervistato in piena emergenza mucillagini dell’89, che dichiarò di non essere toccato dal problema, in quanto i suoi clienti non erano turisti,  evidenziando la sua inconsapevolezza nel dedurre che probabilmente almeno 7 dei suoi 10 clienti acquistavano le sue bistecche con i soldi guadagnati dalla loro attività turistica.

Estate 1989: il Presidente dell’Agenzia del Turismo Primo Grassi mentre beve un bicchiere di acqua di mare davanti ai fotografi, sfidando la peste delle alghe.

Quindi che tutti facciano la loro parte. 

Non ci sono molti altri discorsi da fare.

Partiamo da qua.

E una volta avute le certezze adeguate, partire con l’operatività.

Il tutto affiancato da un’adeguata attività di comunicazione. 

E su questo, i nostri Comuni non hanno nulla da imparare.

Let’s roll!

L’articolo è anche pubblicato sul sito del Corriere di Romagna: ecco il link.

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Quale hotel per la mia prossima vacanza?

QCome dice Roberta Milano, esperta di viaggi e turismo, il turismo è a uno stop e ha due problemi: cosa fare ADESSO e cosa fare DOPO.

Concetto semplice e chiaro.

E a proposito di semplicità e chiarezza, questo è il momento di porsi domande altrettanto semplici e chiare al riguardo.

Ecco quelle che sono venute in mente a me…

Riuscirò ad andare in vacanza?

Quali caratteristiche dovrà avere l’hotel della mia prossima vacanza?

E in quale luogo deciderò di andare?

Se il mio business è il turismo, adesso come posso impegnare questo periodo di quarantena? 

Le varie risposte le sto ricavando sia dagli esperti, sia dagli operatori turistici stessi.

Quindi…

Ci sarà domanda di mercato di vacanze? E quanta?

Chi è bravo a rispondere, deve per forza tenere conto delle difficoltà economiche, della mancanza di ferie, ma anche dell’aspetto psicologico.

L’altro giorno Forbes ha pubblicato un sondaggio dove alla domanda “Qual è la prima cosa che farai quando sarà finita la quarantena“, il 45% degli italiani ha risposto: “Aspetterò diversi giorni prima di fare qualcosa“.

Per dovere di cronaca, il 20,5% ha risposto “farò una festa” (privata a casa con amici stretti), il 19,3% “andrò al ristorante“, il 12,4% “viaggerò in Italia” e il 3% “viaggerò all’estero“.

Altra domanda semplice e diretta: che caratteristica deve avere l’hotel della mia prossima vacanza?

Le indicazioni su come andare incontro alle nuove esigenze che richiede la lotta alla pandemia, hanno a che fare la modifica delle nostre abitudini e un nuovo necessario approccio alla quotidianità, almeno nella prima fase del dopo virus.

A questi cambiamenti ovviamente si dovrà adeguare il servizio in hotel.

Al riguardo, in questi giorni ogni albergatore al mondo si sta ponendo la questione di come rendere l’accoglienza più adeguata possibile alle problematiche del Covid-19, evitando forme di contatto fisico.

Gli esperti hanno cominciato a dare indicazioni mostrando che le soluzioni ci sono.

Prima di tutto va sensibilizzato il personale attraverso una formazione comportamentale (quindi non semplice teoria, ma guida pratica e fisica di come muoversi),  al fine di evitare qualunque gestualità che implichi contatto diretto con i clienti. 

Va modificata la procedura di sbarazzo e rimpiazzo del tavolo, per cui sostituire e igienizzare sempre e tutto… e magari prediligere l’usa&getta, ovviamente con materiali in linea con la sostenibilità ambientale.

Diminuire il numero di tavoli rispettando le giuste distanze, garantendo un numero adeguato di persone in sala.

Quindi, conseguentemente, prolungare gli orari di apertura del ristorante, allungando l’orario del servizio e organizzando turni, dove il cliente avrà la possibilità di scegliere l’orario a lui più consono e gli operatori sapranno gestire orari e presenze per evitare assembramenti.  

Cancellare i servizi buffet e self service e ritornare al “servito”, oppure gestire il servizio come se si fosse al banco di una gastronomia.

Creare proposte di menù veloci magari da far scegliere al cliente, al fine di limitare il tempo di permanenza del cliente in sala.

Incentivare il pasto in camera, magari dotando ogni camera di un tavolo adeguato.

Aumentare il numero di divise per ogni addetto, per garantire il cambio ogni giorno.

Gestire ordini e fornitori in modo da ridurre i giorni di consegna, organizzando le modalità di contatto all’arrivo delle merci, nonché lo smaltimento sia degli indumenti del personale addetto al ricevimento, sia degli imballaggi.

E altre cose che sarà importante e doveroso fare…

Ecco, nella scelta dell’hotel credo proprio che riterrò fondamentali queste informazioni.

C’è ancora chi dice che il mestiere dell’albergatore (e del ristoratore) sia una passeggiata?

C’è anche un’altra questione: queste azioni che ho citato non solo vanno fatte, ma vanno raccontate.

Se il consumatore turista non riceve queste informazioni, non si riesce a trasmettere il messaggio di fiducia.

Il punto è proprio qui: veicolare fiducia e credibilità. 

Anche qui le cose stanno cambiando…

Fino a ieri, quando si trattava di “raccontare”, si utilizzava il termine storytelling.

Lo storytelling, di cui ad esempio è maestro Oscar Farinetti, ci permette di far affacciare il consumatore alle emozioni e quindi di posizionare il nostro prodotto all’interno di quegli scenari valoriali che fanno comodo in termini di acquisizione di appeal e quote di mercato.

Bene, quella roba lì è forse finita.

Gli esperti ci stanno dicendo che dallo storytelling è necessario passare alla storydoing.

Attenzione: qui non si tratta semplicemente di una nuova definizione autoreferenziale (quindi autolesionista) del marketing.

Storydoing è un termine tecnico per definire l’indirizzo in cui proprio in questa fase è bene far virare la narrazione.

In poche parole: attraverso lo storydoing ti dico quello che faccio nel concreto, ti spiego come mi sto muovendo e come sto gestendo la mia quotidianità per offrirti quello che ti sto promettendo.

Quindi, non voli pindarici ed emozioni che poi non trovano riscontro nel concreto.

Schema grafico by Future Concept Lab (Francesco Morace sempre sul pezzo)

Grazie alla narrazione storydoing, in tempo reale ti faccio vedere cosa sto facendo per te, che sei o potrai diventare un mio cliente.

Ha detto bene l’altra sera Paolo Iabichino nella diretta Instagram che organizza con Giovanni Boccia Artieri: la soglia di sensibilità dei consumatori si è molto alzata e quello che sta succedendo è come un setaccio che porta a galla solo le cose che contano.

Lo stiamo vedendo tutti i giorni: questa profonda crisi ci fa apprezzare le persone che fanno cose che contano, piuttosto che coloro che sanno solo raccontare, ma che poi nel concreto non fanno nulla.

Altra domanda semplice e chiara: quale territorio eventualmente sceglierò per la mia vacanza, che sia di una settimana o un veloce short break?

Sicuramente non il luogo più bello, ma quello di cui mi fiderò di più.

E qui entra in gioco lo Storydoing di cui abbiamo sopra accennato, che diventerà acceleratore strategico nella creazione di fiducia verso il consumatore.

Se quindi potremo permetterci qualche giorno di vacanza, c’è caso che la scelta possa ricadere su località fino a ieri lontanissime dai nostri pensieri, ma magari a pochi kilometri da noi.

Sta a vedere che nel breve, la nostra Riviera diventerà il luogo di vacanza di tutti i romagnoli…

Infine, c’è il tema di come sarebbe opportuno che gli operatori turistici impegnassero adesso il proprio tempo. Le cose giuste da fare potrebbero essere tre.

1) Cominciare a predisporre la messa in sicurezza delle proprie aziende, attendendo o cercando di prevedere i vari decreti che verranno sicuramente emanati al riguardo e di cui se ne sta parlando da settimane in vari webinar e dirette social di settore (o verticali, come direbbero gli esperti). 

2) Fare formazione, sia per sé, sia per i propri dipendenti e collaboratori (chiedete alla riminese Teamwork le richieste e adesioni che arrivano…).

3) Creare spirito di comunità tra colleghi per scambiarsi opinioni e creare condivisione.

Su quest’ultimo punto è bene soffermarsi.

Gli ultimi due decenni ci hanno confermato, come non mai, che l’innovazione passa per la condivisione.

Sicuramente, il prossimo futuro dimostrerà che la condivisione sarà lo strumento più efficace per la nostra necessaria rinascita.

Quindi parliamoci, sentiamoci, confrontiamoci…

L’articolo è uscito anche sul Corriere di Romagna.

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