Club Culture, la Frontiera

C’è stato un momento della mia vita in cui ho creduto di essere più avanti della vita che stavo vivendo.

Posso dire che ho visto il mondo andare più lento di come la pensavo e di avere tutti i giorni la sensazione che grazie a me, questo mondo marciasse ad una velocità superiore.

 

Vera Bessone, del Corriere di Rimini, mi ha chiesto “Dov’è finita la Riviera di Club Culture?”, alla luce del libro di Pierfrancesco Pacoda (“Riviera Club Culture” edito da NdA) uscito poco tempo fa.

Per affrontare l’argomento sono partito da come mi sentivo nel delirio dei “miei” anni 80.

Quel “mio” decennio (il decennio che ho sentito più mio della mia vita) è stato caratterizzato soprattutto da un grande individualismo.

Era, ed è stato, un individualismo conformista.

Ho ragione di credere che sia stato questo aspetto a rappresentare l’humus ideale affinché il divertimento notturno, con tutto il suo contorno, diventasse un’estetica dominante.

 

Era questa la vita che sognavo da bambino: un po’ di Apocalisse, un po’ di Topolino…”.

Siamo stati in tanti ad inventarci un lavoro partendo dalla nostra passione: per me era la musica (ho iniziato organizzando concerti rock), per poi scoprire che in realtà ciò che mi stimolava era la comunicazione e quella cosa che poi ho imparato si chiamasse Marketing.

A volte mi rivedo… Ragazzo di 20 anni o poco più, insicuro e imbranato, che comunque tenta una nuova strada…

E inizia a fare impresa con quello che gli piace, firmando contratti con artisti, facendo opinione nel suo settore, vedendo il suo nome sui giornali.

Questo in Italia allora poteva succedere: se eri giovane, con qualche buona idea, avevi delle chance.

 

È nata negli anni 80 quella che qualcuno inizialmente chiamò “il Nightclubbing” e successivamente “la Club Culture”.

Ossia – provando a dare una definizione – quell’estetica generata dal divertimento notturno, in grado di influenzare la quotidianità.

 

Sia chiaro: il nostro territorio l’ha sempre subita, cavalcandola controvoglia e senza alcuna strategia.

Poi quel fenomeno è diventato il Divertimentificio…

Già, qualcuno l’ha decifrato anche così.

Sarò impopolare, ma quel fenomeno rappresenta ancora la più convincente immagine (non dico la migliore, ma la più convincente ed efficace) che la nostra Riviera abbia saputo offrire, dopo il turismo balneare di massa.

Poi, se quel modello è stato “ufficialmente” abbandonato (senza che mai sia stato ufficialmente sposato), non significa che ancora non incida, anzi…

Ma questo è un altro discorso.

 

Venendo al nostro – “dov’è finita la Riviera di Club Culture” – come tutte le cose, se non le contestualizzi, ti ritrovi con un’analisi monca.

Ovvero, se leggi oggi la Club Culture attraverso lo stesso approccio con cui l’hai vissuta negli anni 80 e 90, fai fatica a cavarci fuori qualcosa.

 

La Club Culture di allora della nostra Riviera è riuscita ad essere anche subcultura, producendo contenuti (e prodotti) capaci di condizionare la contemporaneità.

In quella contemporaneità la nostra Riviera è entrata come un ariete.

Ricordiamoci che, se la Romagna (Rimini) ha inventato il turismo di massa, dagli anni 80 in poi, grazie al suo divertimentificio (con Riccione in testa) ha ufficializzato il turismo giovanile di massa.

Poi l’Italia si è fermata.

E così si è fermato anche quel certo fermento che affiancava l’industria del loisir.

 

Oggi la Club Culture vive in una rete globale internazionale, al cui interno è presente qualche nostra eccellenza nostrana, ancora in grado di intercettare ed interpretare linguaggi e codici delle nuove generazioni (sia di clienti, che di artisti).

 

Oggi la Club Culture ha sempre meno a che fare con la discoteca.

La fine degli anni 90 ce l’aveva fatto già capire: chi cercava in quel mondo ispirazione, era obbligato a bazzicare non soltanto i locali di Ibiza, ma anche – e soprattutto – le “nuove” spiagge, o certi strani ristoranti (il Buddha Bar?), o anche semplici barettini sugli scogli (il Cafè del Mar?).

Ma soprattutto quel “sentiment” lo si intercettava nei grandi eventi, come la Love Parade di Berlino e la Street Parade di Zurigo, oppure gli eventi Cream, Global Gathering o altri (confesso: non ne ho mai visto uno), figli più di quell’estetica Rave che dagli anni 90 ha cercato di far uscire quella subcultura dai limiti del Club.

 

Oggi lo sviluppo di tutti quei contenuti nati negli anni 80 e 90, sfocia in eventi che ancora in Italia non riusciamo ad immaginare, per motivi anche culturali.

Manifestazioni come il Tomorrowland e Kazantip, in un certo senso, rappresentano la Frontiera di quel sentiment che la Club Culture ha generato.

La Frontiera…

Noi, nella nostra Costa Est, lo siamo stati.

Grazie proprio alla Club Culture.

Grazie alla Baia degli Angeli di Giancarlo Tirotti e alla Baia Imperiale poi, all’Altro Mondo di Gilberto Amati prima e di Galli e Bevitori poi, al Paradiso di Gianni Fabbri, all’Embassy di Semprini, al Lady Godiva di Mauro Varriale, al New York di non ricordo chi, all’Aleph di Maurizio Innocenti, allo Slego di Garattoni, Corbelli, Fiori, Rinaldini, Bruschi e poi di Thomas, all’Insomnia della Nico, al Lex di Andreatta, al Bandiera Gialla di Bibì Ballandi, al Barcelona di Lucas Carrieri, al Cellophane sempre di Lucas Carrieri, al Ripadiscoscesa della Patty Bordoni, al Velvet di Thomas, al Pascià di Fabbri, Ricci e Billy Bilancia, all’Ethoes, al Vae Victis e all’Echoes di Tantini e Maurizio Monti, al Byblos della famiglia Gennari, alla Villa delle Rose di Dino e poi dei Buffagni, al Peter Pan di Gianni Nisticò e Artemio, al Prince di Marisa Lagrecacolonna, all’io di Willi e Italo, al Carnaby di Ennio, Alfredo e Giorgio, al Meeting di Ivano, al Rockhudson’s, al Ku e all’ECU, alla Mecca di Andrea Brighenti, al Life di Agostini, al Blow Up di Zanza e, ovviamente, al Cocoricò di Osvaldo e dei Palazzi.

Con il Walky Cup in Aquafan di Cecchetto prima e di Linus poi, concluderei questa carrellata, dove accanto ai locali che sono riuscito a ricordare, ho affiancato i personaggi che maggiormente hanno contribuito fattivamente alla creazione di ognuno di questi miti.

A questo scenario è sempre mancata un’analisi, che aiutasse – noi operatori – a capire e a capirci: insomma, a formarci e a renderci consapevoli che ciò che avevamo in mano non erano semplici locali da ballo.

Ma questo è un altro discorso, che ora, come prima, pochi hanno intenzione di ascoltare.

 

21 Settembre 2012

 

 

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