Osterie riminesi e menù turistici

L’osteria riminese esiste solo a New York City

Da ragazzo ho letto “Il Mattino dei Maghi”.
È stato per me – e, da quanto ne so, anche per altri – un libro importante.
Il Mattino dei Maghi fa parte del filone del cosiddetto realismo fantastico, per cui, ad esempio, non è un caso che la Piramide di Cheope abbia quell’altezza perchè, se la moltiplichiamo per un milione, corrisponde esattamente a… non ricordo cosa, e via di seguito…

Tra i racconti che mi avevano impressionato, nel libro c’era anche la storia di un merlo che impazzì: un giorno credendo di volare alle solite alte quote, si trovò davanti agli occhi un essere umano (uno dei due autori del libro) che passeggiava nel cielo…. mentre in realtà era il merlo che era troppo basso, confuso a causa della nebbia.

Un simile sbalzo di dimensione l’ho vissuto anch’io nel Settembre scorso con mia moglie in Bretagna, precisamente a Cancalle, patria delle ostriche.
Al ristorante tipico bretone, con tanto di menù in lingua originale, su consiglio di una coppia vicina di tavolo, scegliamo uno dei vari menù fissi.
E siccome per una volta nella vita è bello fare i signori, decidiamo di scegliere il più costoso.
E, sorpresa delle sorprese, il menù più costoso aveva un nome piuttosto familiare per noi romagnoli: si chiamava Menù Turistico.
Così per tutto il resto della vacanza in Francia (a Hornfleurs in Normandia, a Parigi, ad Amneville in Lorena e a Colmar in Alsazia) il Menù Turistico è stata la nostra scelta obbligata in tutti i ristoranti.

Per noi romagnoli – ma per noi italiani in genere – è difficile pensare che il menù turistico possa rappresentare il meglio che un ristorante possa offrire, anzi…
Spessissimo, dietro quella dizione si nasconde il più basso dei profili culinari.

Questo mi porta a ragionare su alcune cose.

In primo luogo che sarebbe bene mettersi in testa che i turisti – almeno per come li abbiamo pensati fino a ieri – oggi non esistono più.
Semmai dovremmo cominciare a pensare a individui/consumatori alla ricerca di merci emotive ed esperienziali e di servizi innovativi.

In secondo luogo, se un paese come la Francia ritiene che la domanda di mercato di un turista sia di quel livello (non tanto economico, ma di “gusto”), cosa ce ne facciamo noi di tutti quei ristoranti/pizzeria che in maniera anonima e senza soluzione di continuità, popolano gli oltre 20 km di viali del nostro Lungomare riminese?

Un altro sbalzo di dimensione l’ho avuto a New York poche settimane fa.
Sono andato a curiosare tra quei mattacchioni di Riminesi che hanno aperto tre ristoranti a Manhattan: il Piadina, il Malatesta ed il Mosto.
Quest’ultimo è stato il primo che ho visitato.
Entrando – sorpresa delle sorprese – mi ha accolto un ambiente tipico delle vecchie case di campagna romagnole sia nell’arredamento che nei colori.
Sui muri immagini antiche della mia città, sul soffitto appese mille cianfrusaglie tipiche e su una parete la scritta in dialetto “Iquè us’ magna quel cu’iè”, ovvero “Qui si mangia quello che c’è”.
Il locale era pieno e la gente era bella e divertita.
Il mio amico Lele, il titolare, al momento in cui sono entrato, aveva in mano pentola e mestolone e tra le grida di gioia dei suoi clienti, versava su una tavolata apparecchiata per venti, una polenta col sugo che portava via il naso.
In tavola c’erano bottiglie di Sangiovese Riserva e l’acqua era della riminesissima Galvanina, dal nome dell’antica fonte romana che sorge proprio lì dove poi è sorto il Bandiera Gialla.
Stessa cosa per gli altri due ristoranti: tanta bella gente che fa casino.

Visto questo, penso che un modello di riferimento che funzioni per la nostra Riviera ci sarebbe: è il tipico riminese.
Impararlo, o copiarlo, è facile: è appena a 6 ore di aereo da Rimini…

In chiave più nazionale, penso al patrimonio delle nostre sagre paesane.
Solo in Molise se ne celebrano oltre 200 all’anno.
E se pensiamo a quanto turismo producono le Processioni della Madonna in Andalusia, o la festa di San Firmino a Pamplona, è facile affermare che abbiamo un patrimonio nazionale ancora da scoprire.
Scoprire, magari senza saccheggiare.

Toc, toc…. c’è nessuno all’ENIT?

Rimini, 27 dicembre 2003

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