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ESG: è ormai sulla bocca di tutti

Ok, sulla sostenibilità non si scherza più.

Io che arrivo sempre un po’ tardi sulle cose, ho ricevuto definitivamente conferma di questo “segnale” a San Patrignano, dove si è tenuto lo scorso 13 aprile il Sustainable Economy Forum.

La star della giornata è stato un acronimo: ESG, che sta per Environmental Social Governance.

Spiegandolo in sintesi: un’azienda ha un approccio ESG quando mette nelle sue priorità sia la sostenibilità ambientale, sia la sostenibilità del contesto sociale in cui opera, sia quella legata al benessere dei propri dipendenti diretti e indiretti.

Al Forum ho personalmente toccato con mano una rivoluzione in atto.

Certo, erano “solo” parole quelle che volavano, ma quelle parole sono arrivate da autorevoli personalità del mondo degli affari e della finanza.

Già nel saluto di benvenuto della padrona di casa, Letizia Moratti, si era capito dove si andava a parare: “La sostenibilità deve essere sia ambientale, sia sociale, sia economica… e bisogna agire in fretta. Occorre avere mentalità aperta, ci vogliono approcci nuovi, mettendo in campo le nostre responsabilità individuali per farle diventare collettive. Da ora, bisogna che ognuno faccia la sua parte“.

Poco dopo, Luca Orlando, giornalista del Sole 24 ore, ottimo e incalzante moderatore del convegno, ha piazzato una domanda molto diretta sia alla referente di Banca Generali Lucia Silva(responsabile della sostenibilità), che di Banca Intesa Paolo Bonassi (Executive Director Strategic Support): “L’attuazione di un piano ESG, porta beneficio alle aziende?“.

La risposta è stata da entrambi gli interlocutori praticamente la stessa: “Valutiamo alle aziende un rating più basso se non c’è attenzione a ESG“.

Concetti già sentiti? Può darsi, però forse non con un linguaggio così semplice e diretto.

Poi è arrivato l’intervento che più mi ha colpito: quello di Claudia Parzani, presidente della Borsa Valori. Ecco alcuni passaggi…

Il successo economico va rivisto in ottica di progresso sociale. Il Purpose è uno dei cardini che deve muovere l’impresa. Il valore della governance è un altro tema chiave: a prescindere dalla dimensione, è la qualità che crea valore. L’attenzione e valorizzazione del capitale umano è sempre più importante ed è il tema più centrale nel business attuale: le aziende devono essere in grado di attrarre e trattenere le persone di qualità“.

E poi arriva il capolavoro… “Abbiamo mai misurato quanto incide l’infelicità in azienda? Ci siamo mai chiesti che persone siamo noi e come incidiamo verso gli altri?“.

Infine due chicche: “Dobbiamo avere più capacità di ascolto e uscire dal giudizio facile sui giovani“. 

Ed ecco la seconda: “Il leader oggi ha bisogno di essere vulnerabile e vero. Dobbiamo sconfiggere lo stereotipo del successo. Solo se sei umile puoi superare i tuoi limiti. Tutto quello che facciamo non è molto se non lo leghiamo a quello che fanno gli altri“.

Dai, confessiamolo: rispetto a pochi anni fa, siamo su un altro pianeta.

Interessante come sempre Chicco Testa, ora presidente di Assoambiente, che è partito affermando “Se ci riferiamo agli obiettivi di diminuzione della CO2, dobbiamo cambiare gli occhiali per vedere la realtà. L’aumento di CO2 deriva dalla volontà dei paesi in via di sviluppo di raggiungere maggiore benessere. Negli Stati Uniti il consumo è assai più alto rispetto a noi: se misuriamo le emissioni pro capite di India e Cina scopriremo che sono molto più basse delle nostre“. 

Testa ha anche lanciato un alert su qualche cortocircuito: ad esempio, i pannelli fotovoltaici cinesi vengono spesso prodotti da aziende che utilizzano tecnologie a carbone. 

E poi ha affermato che per migliorare la sostenibilità, abbiamo bisogno di innovazione tecnologica. Ad esempio, la carne coltivata (ovvero quella che chiamiamo sintetica) potrebbe essere un’ottima innovazione tecnologica. In questo senso, anche il navigatore satellitare è una grande innovazione green, in quanto ci fa risparmiare chilometri di viaggio e benzina.

Quindi il suo è stato un appello all’uscire dallo stereotipo per cui la tecnologia non sia al servizio del green.

Questa considerazione – per tanti acquisita da tempo – ci rende ancora più consapevoli della situazione strana e complessa che stiamo vivendo, in quanto stiamo affrontando la trasformazione digitale insieme a quella green.

E in questo contesto, spesso ci dimentichiamo che l’Europa incide “solo” per l’8% sulle emissioni di CO2: questo l’ha detto lì al Forum Alberto Marenghi, vice presidente di Confindustria.

Siccome non la voglio fare molto lunga, riporto in breve altri concetti che mi hanno colpito

Luca Orlando: Il capitale umano è sempre più raro… oggi sono i giovani che ci devono scegliere. 

Lucia Silva(Banca Generali): “È cresciuta la consapevolezza verso la sostenibilità: una volta il responsabile della sostenibilità faceva riferimento al capo della comunicazione, oggi fa riferimento al Direttore Generale. La sostenibilità è quindi arrivato ad essere argomento centralizzato e pervasivo”

Andrea Rustioni(DG di IGP Decaux): “Abbiamo forte aumento di richieste di prodotti pubblicitari e servizi sempre più sostenibili. Le grandi aziende ci chiedono servizi in cui possono ottenere KPI dove dimostrare il loro impegno sulla sostenibilità e valorizzazione del patrimonio urbano“.

Giovanni Sandri (Country Head di Black Rock Italia): “Buona parte dei prossimi mille unicorni saranno aziende che hanno operato nella decarbonizzazione“.

Cristina Bombassei(CSR di Brembo): “L’ESG manager è la quinta figura più ricercata al momento“.

Mirja Cartia d’Asero (AD Gruppo 24 ore): “L’umanesimo imprenditoriale è l’unica strada per lo sviluppo“. 

Giovanna Iannantuoni(Rettrice Università Bicocca Milano): “Lo sviluppo passa dal capitale umano e dall’innovazione tecnologica. Bicocca sta creando un corso per formare manager ESG“. 

Infine, nel suo intervento di saluto, Letizia Morattiha concluso affermando che “per arrivare alla sostenibilità occorre creare connessioni”.

Non solo il Forum di San Patrignano è stato per me fonte di nuovi input e di conferme in merito ai temi ESG.

Tra i vari, vorrei citare l’incontro organizzato lo scorso 24 marzo dalla Biblioteca di Santarcangelo, dove il professor Giovanni Boccia Artieri (mio sodale nella Confraternita del gin tonic) ha intervistato Paolo Iabichino, in occasione dell’uscita del suo interessante “Scrivere Civile”, edito da Luiss University Press.

Boccia nel suo cappello introduttivo, ha citato un dato di una recente un’indagine IPSOS: “il 65% dei consumatori si aspettano che le aziende si espongano nel prendere posizione nei confronti di tematiche civili e sociali“… e ciò è stato definito “un punto di non ritorno“.

Iabichino nel suo intervento è stato fin troppo chiaro: “Nel rapporti con i brand, c’è un rapporto fiduciario nuovo“.

Infatti, se da un lato ci siamo noi consumatori che “non siamo più obbligati a consumare tanto, bensì meno“, da un altro ci sono le aziende, per cui “la sostenibilità non è un vezzo, ma un obbligo per poter stare sul mercato“.

Leggendo le varie chicche di “Scrivere Civile”, Iabichino ci evidenza che prima le marche ci aiutavano a capire chi ci sarebbe piaciuto essere, mentre adesso la scelta del brand è compiuta perché rappresenta chi sono io e i valori a cui faccio riferimento.

È evidente che in questo spirito civile, unito ai processi ESG, tutti devono davvero fare la propria parte.

Quindi anche il marketing e la pubblicità devono, o motivati o costretti, spingere per questa nuova strada del capitalismo. 

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Quale hotel per la mia prossima vacanza?

QCome dice Roberta Milano, esperta di viaggi e turismo, il turismo è a uno stop e ha due problemi: cosa fare ADESSO e cosa fare DOPO.

Concetto semplice e chiaro.

E a proposito di semplicità e chiarezza, questo è il momento di porsi domande altrettanto semplici e chiare al riguardo.

Ecco quelle che sono venute in mente a me…

Riuscirò ad andare in vacanza?

Quali caratteristiche dovrà avere l’hotel della mia prossima vacanza?

E in quale luogo deciderò di andare?

Se il mio business è il turismo, adesso come posso impegnare questo periodo di quarantena? 

Le varie risposte le sto ricavando sia dagli esperti, sia dagli operatori turistici stessi.

Quindi…

Ci sarà domanda di mercato di vacanze? E quanta?

Chi è bravo a rispondere, deve per forza tenere conto delle difficoltà economiche, della mancanza di ferie, ma anche dell’aspetto psicologico.

L’altro giorno Forbes ha pubblicato un sondaggio dove alla domanda “Qual è la prima cosa che farai quando sarà finita la quarantena“, il 45% degli italiani ha risposto: “Aspetterò diversi giorni prima di fare qualcosa“.

Per dovere di cronaca, il 20,5% ha risposto “farò una festa” (privata a casa con amici stretti), il 19,3% “andrò al ristorante“, il 12,4% “viaggerò in Italia” e il 3% “viaggerò all’estero“.

Altra domanda semplice e diretta: che caratteristica deve avere l’hotel della mia prossima vacanza?

Le indicazioni su come andare incontro alle nuove esigenze che richiede la lotta alla pandemia, hanno a che fare la modifica delle nostre abitudini e un nuovo necessario approccio alla quotidianità, almeno nella prima fase del dopo virus.

A questi cambiamenti ovviamente si dovrà adeguare il servizio in hotel.

Al riguardo, in questi giorni ogni albergatore al mondo si sta ponendo la questione di come rendere l’accoglienza più adeguata possibile alle problematiche del Covid-19, evitando forme di contatto fisico.

Gli esperti hanno cominciato a dare indicazioni mostrando che le soluzioni ci sono.

Prima di tutto va sensibilizzato il personale attraverso una formazione comportamentale (quindi non semplice teoria, ma guida pratica e fisica di come muoversi),  al fine di evitare qualunque gestualità che implichi contatto diretto con i clienti. 

Va modificata la procedura di sbarazzo e rimpiazzo del tavolo, per cui sostituire e igienizzare sempre e tutto… e magari prediligere l’usa&getta, ovviamente con materiali in linea con la sostenibilità ambientale.

Diminuire il numero di tavoli rispettando le giuste distanze, garantendo un numero adeguato di persone in sala.

Quindi, conseguentemente, prolungare gli orari di apertura del ristorante, allungando l’orario del servizio e organizzando turni, dove il cliente avrà la possibilità di scegliere l’orario a lui più consono e gli operatori sapranno gestire orari e presenze per evitare assembramenti.  

Cancellare i servizi buffet e self service e ritornare al “servito”, oppure gestire il servizio come se si fosse al banco di una gastronomia.

Creare proposte di menù veloci magari da far scegliere al cliente, al fine di limitare il tempo di permanenza del cliente in sala.

Incentivare il pasto in camera, magari dotando ogni camera di un tavolo adeguato.

Aumentare il numero di divise per ogni addetto, per garantire il cambio ogni giorno.

Gestire ordini e fornitori in modo da ridurre i giorni di consegna, organizzando le modalità di contatto all’arrivo delle merci, nonché lo smaltimento sia degli indumenti del personale addetto al ricevimento, sia degli imballaggi.

E altre cose che sarà importante e doveroso fare…

Ecco, nella scelta dell’hotel credo proprio che riterrò fondamentali queste informazioni.

C’è ancora chi dice che il mestiere dell’albergatore (e del ristoratore) sia una passeggiata?

C’è anche un’altra questione: queste azioni che ho citato non solo vanno fatte, ma vanno raccontate.

Se il consumatore turista non riceve queste informazioni, non si riesce a trasmettere il messaggio di fiducia.

Il punto è proprio qui: veicolare fiducia e credibilità. 

Anche qui le cose stanno cambiando…

Fino a ieri, quando si trattava di “raccontare”, si utilizzava il termine storytelling.

Lo storytelling, di cui ad esempio è maestro Oscar Farinetti, ci permette di far affacciare il consumatore alle emozioni e quindi di posizionare il nostro prodotto all’interno di quegli scenari valoriali che fanno comodo in termini di acquisizione di appeal e quote di mercato.

Bene, quella roba lì è forse finita.

Gli esperti ci stanno dicendo che dallo storytelling è necessario passare alla storydoing.

Attenzione: qui non si tratta semplicemente di una nuova definizione autoreferenziale (quindi autolesionista) del marketing.

Storydoing è un termine tecnico per definire l’indirizzo in cui proprio in questa fase è bene far virare la narrazione.

In poche parole: attraverso lo storydoing ti dico quello che faccio nel concreto, ti spiego come mi sto muovendo e come sto gestendo la mia quotidianità per offrirti quello che ti sto promettendo.

Quindi, non voli pindarici ed emozioni che poi non trovano riscontro nel concreto.

Schema grafico by Future Concept Lab (Francesco Morace sempre sul pezzo)

Grazie alla narrazione storydoing, in tempo reale ti faccio vedere cosa sto facendo per te, che sei o potrai diventare un mio cliente.

Ha detto bene l’altra sera Paolo Iabichino nella diretta Instagram che organizza con Giovanni Boccia Artieri: la soglia di sensibilità dei consumatori si è molto alzata e quello che sta succedendo è come un setaccio che porta a galla solo le cose che contano.

Lo stiamo vedendo tutti i giorni: questa profonda crisi ci fa apprezzare le persone che fanno cose che contano, piuttosto che coloro che sanno solo raccontare, ma che poi nel concreto non fanno nulla.

Altra domanda semplice e chiara: quale territorio eventualmente sceglierò per la mia vacanza, che sia di una settimana o un veloce short break?

Sicuramente non il luogo più bello, ma quello di cui mi fiderò di più.

E qui entra in gioco lo Storydoing di cui abbiamo sopra accennato, che diventerà acceleratore strategico nella creazione di fiducia verso il consumatore.

Se quindi potremo permetterci qualche giorno di vacanza, c’è caso che la scelta possa ricadere su località fino a ieri lontanissime dai nostri pensieri, ma magari a pochi kilometri da noi.

Sta a vedere che nel breve, la nostra Riviera diventerà il luogo di vacanza di tutti i romagnoli…

Infine, c’è il tema di come sarebbe opportuno che gli operatori turistici impegnassero adesso il proprio tempo. Le cose giuste da fare potrebbero essere tre.

1) Cominciare a predisporre la messa in sicurezza delle proprie aziende, attendendo o cercando di prevedere i vari decreti che verranno sicuramente emanati al riguardo e di cui se ne sta parlando da settimane in vari webinar e dirette social di settore (o verticali, come direbbero gli esperti). 

2) Fare formazione, sia per sé, sia per i propri dipendenti e collaboratori (chiedete alla riminese Teamwork le richieste e adesioni che arrivano…).

3) Creare spirito di comunità tra colleghi per scambiarsi opinioni e creare condivisione.

Su quest’ultimo punto è bene soffermarsi.

Gli ultimi due decenni ci hanno confermato, come non mai, che l’innovazione passa per la condivisione.

Sicuramente, il prossimo futuro dimostrerà che la condivisione sarà lo strumento più efficace per la nostra necessaria rinascita.

Quindi parliamoci, sentiamoci, confrontiamoci…

L’articolo è uscito anche sul Corriere di Romagna.

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