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Safety Car o Rivoluzione?

In questi giorni, la più suggestiva metafora l’ho ascoltata da Mauro Santinato di Teamwork. Parla della Safety Car. Per cui siamo tutti alla stessa velocità dietro a qualcuno che ci guida, in attesa che si ripulisca la pista dagli incidenti e dalle macchie d’olio… per poi ripartire. Ovviamente affinché la ripartenza post emergenza avvenga, è necessario avere in dote delle linee guida certe e affidabili, e armare i “piloti” di fiducia e di qualche certezza. Molti operatori del settore turismo, ristorazione compresa, ritengono che la Safety Car messa in pista dal Governo avrebbe sbagliato non solo la velocità, ma addirittura autodromo. Della serie: siamo in Formula Uno, non sui go-kart. 

La situazione è sicuramente complessa e l’esasperazione è ormai un dato di fatto da parte degli operatori. La rabbia, nel momento che sale, è capace essa stessa di diventare un problema. Tant’è che leggendo quello che esce sui social, non c’è da stare allegri. Se si dovessero prendere alla lettera le varie dichiarazioni di operatori pubblicate in questi giorni, ci sarebbe da pensare che la Digos abbia un bel po’ da preoccuparsi.

Ma sono solo parole. Almeno finora. Non voglio pensarci, ma la notizia del primo suicidio di un imprenditore del turismo potrebbe far sì che dai toni incazzati si passi a gesti “simbolici”, capaci di andare un po’ troppo in là. 

Decidere cosa fare non è facile, ma forse non è neanche difficilissimo. 

Hanno provato a spiegarlo in tanti, pure Zagrebelsky. E quello che ha detto l’ho capito anch’io.

In sintesi: un popolo non si può guidare solo per ordinamenti e sanzioni, ma occorre dargli anche la “smolla” attraverso la partecipazione responsabile. E poi – e questo è argomento che amo – i mezzi  le modalità di comunicazione per promuovere l’obbedienza, devono esser diversi da quelli per creare responsabilizzazione. Quindi “a ciascuno il suo: al governo le prescrizioni giuridiche (vietare, consentire e imporre), alla società, nelle sue tante articolazioni, la promozione dell’etica della responsabilità“.

Condivisibilissimo. Ma prima di applaudire, ci dobbiamo porre una domanda: c’è da fidarsi di noi Italiani? Da sinistra, sembra che arrivi un coro di no. Beh, non poteva essere altrimenti: è stato un governo di destra ad applicare la legge anti fumo… che già dopo neanche una settimana, gli Italiani hanno acquisito e messo agli atti nella loro quotidianità. 

Quindi? È giusto fidarsi del nostro senso di responsabilità? 

Mah… Basta girare per strada e tocchi con mano che di persone di cui non vale la pena fidarsi, ce ne sono troppe. Questo al netto delle grigliate di condominio sui tetti, delle corse clandestine al trotto sulle strade di Palermo, delle dichiarazioni di Sgarbi per cui “una visita a Codogno è una figata, tanto sono tutte cazzate“, e via di seguito.

La cosa buffa poi è che il tema della fiducia riguarda sempre gli altri… poi magari scopri che proprio tu fai parte di quella cerchia di persone di cui gli altri non si fidano.

Non so che dire. 

Non vorrei che da questa cosa mi rimanesse solo l’idiota pregiudizio per cui non fidarsi è di sinistra, mentre “dare la smolla” e di destra. Non se ne può più…

Da parte mia, mi piacerebbe che si creassero le condizioni per ricordare questo periodo per aver ricevuto un atto di fiducia, sentendomi, come tutti gli altri, responsabile della salute e sopravvivenza di ogni componente di quel patrimonio che si chiama comunità. 

Dovrebbe essere così, anche senza Covid19. Perché i cittadini devono essere parte della soluzione e non il problema.

L’articolo è uscito anche sul Corriere di Romagna, leggibile a questo link.

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